I problemi della verità e del riferimento
La regola costitutiva (vedi post 1 e 2) della forza assertoria obbliga chi compie asserzioni a dare buone ragioni a sostegno della verità dell'enunciato asserito. Si stabilisce così un nesso tra forza assertoria e verità. Inoltre, i sensi di parole ed enunciati sono stati spiegati in termini di regole per costruire argomenti, quindi ragioni per la verità di un enunciato. V'è dunque anche un nesso fra senso e verità.
Costitutive del senso di “vero” sono una regola di argomentazione R(I) per introdurre la parola e una regola R(E) per eliminarla. La parola “vero” può essere applicata in primo luogo a enunciati S generando altri enunciati della forma “E' vero che S”. In secondo luogo può essere applicata a enunciati della forma “'S' è vero”.
La regola di introduzione R(I) ha come premessa S e la conclusione è, nella prima versione “E' vero che S” e nella seconda versione “'S' è vero”. La regola di eliminazione R(E) ha una premessa che nella prima versione è “E' vero che S” e nella seconda “'S' è vero” e la conclusione in entrambi i casi è S.
Secondo la concezione “deflazionistica” o “della ridondanza” accennata da Wittgenstein e sviluppata da altri le regole R(I) e R(E) esauriscono ciò che c'è da dire sulla nozione di verità.
Le concezioni realistiche della verità tendono a farne una nozione primitiva o a spiegarla in termini di nozioni ontologiche primitive, considerando tali realtà indipendenti dalla prassi umana del giustificare asserzioni. Per le concezioni realistiche, quindi, non v'è ragione di escludere che la verità trascenda l'esistenza di possibili prove.
Il fautore di una concezione epistemica cerca invece di chiarire la nozione di verità attraverso la prassi di giustificazione di asserzioni che, selezionando enunciati correttamente asseribili, tende a stabilire conoscenze. Fare propria la concezione epistemica è decidere di legare la nozione di verità a quella di prova.
Per dar conto del funzionamento è anche necessaria la nozione di riferimento. Il successo di alcune interazioni linguistiche fra parlanti, anche quando essi attribuiscono sensi diversi alle stesse espressioni, si spiega con l'identità del referente. Il principio di contestualità applicato al riferimento dice che il referente di un'espressione E è il contributo di E a determinare la verità (o la falsità) degli enunciati in cui può ricorrere. Se vale tale principio, il problema del riferimento è tutt'uno con il problema della verità.
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