giovedì, gennaio 10, 2008

Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, 18

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(E quante case o strade ci vogliono perché una città cominci ad essere città?) Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: Un dedalo di stradine e piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade dritte e regolari, e case uniformi.

Ecco un famoso paragone usato da Wittgenstein per aiutarci a comprendere meglio cosa ci sta dicendo. L'analogia mi sembra chiarissima: un linguaggio composto di un centro storico, di uno zoccolo duro, poi un insieme di parole vecchie e nuove, un insieme di linguaggi diversi. Andando dal centro verso la periferia le strade si allargano e si fanno regolari: è, per esempio, il linguaggio della logica, quello del Tractatus, che ora è diventato parte di tanti altri linguaggi, parte della città. Città in continuo cambiamento, espansione.

6 commenti :

Maria Sole ha detto...

Ciao! Data la tua preparazione su Wittgenstein (cosa che al contrario a me risulta assai difficile), potresti aiutarmi a comprendere e analizzare il paragrafo 20 delle Ricerche Filosofiche? Mi saresti di grande aiuto...
Grazie!

Unknown ha detto...

Ciao,

nel paragrafo 20 Wittgenstein sta continuando, sulla scia dei precedenti paragrafi, a inquadrare il linguaggio denotativo, quello della logica, quello del tractatus, all'interno dei molteplici giochi linguistici. E in particolare comincia a mostrare come il senso di una parola non sia semplicemente un'etichetta (come nel linguaggio della logica) ma sia invece una nuvola di significati che emergono a seconda dei contesti, delle situazioni, degli usi.

E continua a ribadire che per utilizzare il linguaggio denotativo è necessario conoscere molto di più che le semplici parole "Lastra" o "trave".

Questo in breve, dimmi pure se ci sono dei punti che ti risultano oscuri.

jes ha detto...

ciao!!scusami potresti aiutarmi con il paragrafo 246??grazie mille..

Unknown ha detto...

Ciao, postami qui il paragrafo

jes ha detto...

"E in che senso le mie sensazioni sono private? - Ebbene, solo io posso sapere se provo veramente un dolore, l'altro può soltanto congetturarlo. - Per un verso ciò è falso,per l'altro verso insensato. Se usiamo la parola <> gli altri riescono molto spesso a sapere se provo dolore. - Già ma certamente non con la sicurezza con cui lo so io stesso! - Di me non si può dire in generale che so di provare dolore. Ma che cosa deve mai significare,- se non, forse, che provo dolore? "
Ecco, grazie in anticipo!!

Unknown ha detto...

Sostanzialmente dice che il linguaggio è un fatto sociale, è una questione di regole concordate con gli altri (come tutti i giochi e in particolare i giochi linguistici). Stesso discorso vale per le sensazioni. In che senso le sensazioni sono private? Lo sono nel senso che se non ci fossero alcune parole o alcuni gesti per descriverle non ci sarebbe modo di comunicarle agli altri.