lunedì, marzo 06, 2006

Le regole costitutive generano analiticità e apriorità?

Rendendole razionalmente inattaccabili, la tesi dell'arbitrarietà tende ad accordare alle regole costitutive, e agli enunciati che se ne possono derivare, un ruolo di principi analiticamente validi e di conoscenze a priori. Quando si parla di analiticità si intende che la conoscenza del significato è immediatamente o mediatamente sufficiente per ottenere giustificazioni incontrovertibili.
L'apriorità dipende dal fatto che la giustificazione non ricorre affatto all'esperienza e tantomeno può essere messa in discussione dall'esperienza.
Paul Boghossian cerca di difendere analiticità e apriorità con la tesi della “definizione implicita”: “E' stipulando arbitrariamente che determinati enunciati siano veri o che certe inferenze siano valide che conferiamo significato alle espressioni coinvolte”.
Tuttavia non si può considerare analitico ciò che deriva da regole stipulate se non si esclude che vi rientrino enunciati empirici “che possono essere falsificati dall'osservazione”. Chi sposa la tesi di analiticità può replicare a questa obiezione con restrizioni sulle regole costitutive, sostenendo che solo regole con determinate caratteristiche generano validità analitica. Ma abbandonando la piena arbitrarietà delle regole, tale tesi va incontro a nuove obiezioni. Se il suo fautore esige sia provata la coerenza delle regole e richiede una prova deduttiva inizia un regresso all'infinito che, per il secondo teorema di incompletezza di Godel, è fatale. Si potrebbe suggerire che siano costitutive e generino analiticità le regole dotate di un'opportuna caratteristica G che assicuri coerenza e altre proprietà, senza che sia necessaria alcuna prova.
Allora vi sono due casi: o non è noto ai parlanti se le regole date abbiano la caratteristica G, oppure ciò è noto ai parlanti. Nel primo caso il significato non è costituito da regole in quanto prassi condivise perché sul piano delle prassi condivise non c'è differenza fra regole che costituiscono il significato e regole che non lo costituiscono. La differenza G, infatti, non essendo nota ai parlanti, è ininfluente. Per la stessa ragione non è sostenibile parlare di apriori visto che i parlanti non sanno quali regole sia affidabili generatrici di verità.
Nel secondo caso, il fautore dell'analiticità sminuisce il fatto che i paradossi spesso derivano proprio da regole argomentative in apparenza evidenti. In questo caso si inserisce una proposta di Dummett e Prawitz. L'idea è considerare costitutive del significato solo regole di introduzione dalla forma immediatamente riconoscibile ovvero regole che governano passi inferenziali in cui premesse e ipotesi scaricate sono di complessità non maggiore della conclusione. Regole prive di tale caratteristica non sono costitutive e sono analiticamente valide solo se è possibile giustificarle mostrando che sono in armonia con le regole costitutive (teoria verificazionista).
Probabilmente la tesi di analiticità va scartata perché le regole costitutive, pur appartenendo alla comprensione, possono essere erronee: nessun enunciato o principio inferenziale è immune da revisione razionale legata all'esperienza.

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