Il compito di un indagine filosofica sul linguaggio è quello di spiegare in cosa consiste comprendere. Molti sostengono che comprendere consista nel conoscere significati e con ciò fanno coincidere l'indagine sulla comprensione con l'indagine sul significato.
Chi opera questa questa scelta di solito sostiene l'idea che i significati siano dati da regole.
Ci sono due schieramenti contrapposti:
spiegazione naturalistica del linguaggio nelle scienze cognitive. Uno dei maggiori esponenti è Noam Chomsky;
spiegazione del significato come uso. Il maggiore esponente è stato Ludwig Wittgenstein.
Secondo Noam Chomsky la conoscenza di una lingua è un “sistema e principi che generano e correlano rappresentazioni mentali” analogo ad altri sistemi biologici. L'organo del linguaggio ci consente, in seguito a stimoli che durante l'infanzia ne inneschino i meccanismi, di riconoscere enunciati ben formati, suoni intelligibili, meri rumori, ecc.
L'organo del linguaggio deve essere pensato come una macchina di Turing: un sistema computazionale che accetta determinati input (onde sonore, tracce su carta, ecc.) ed elabora un output. I nessi input-output sono, a livello neuronale, degli stati, dei collegamenti neuronali che vengono plasmati, in maggior misura, nell'infanzia. A livello astratto questi nessi sono delle regole computazionali, ovvero delle regole di un calcolo. Queste regole corrispondo a nessi causa-effetto a cui obbediscono processi neuronali.
Per riferirsi a questo sistema di regole Chomsky utilizza il termine “grammatica”, ma la grammatica può essere, e nei casi interessanti è, inaccessibile alla coscienza.
Infine, per spiegare il perché delle diverse lingue, Chomsky introduce il termine “grammatica universale”. Tale grammatica è, utilizzando una terminologia derivata dalla biologia, il genotipo di cui un individuo è dotato alla nascita. Solo in base agli stimoli ricevuti durante l'infanzia viene determinato il fenotipo ovvero la nostra lingua madre.
Anche Wittgenstein chiama “grammatica” il sistema di regole che governa l'uso del nostro linguaggio. Agli inizi degli anni trenta sostiene che sia che le regole grammaticali costituiscono il significato, sia che comprendere un linguaggio è spesso simile a comprendere un calcolo. Tuttavia W. non ha mai inteso le regole come nessi causali.
Oltre all'analogia fra linguaggio e calcolo W. usa spesso un'altra analogia, quella fra linguaggio e gioco. Quando W. parla di “gioco linguistico” si riferisce alla molteplicità di possibilità di espressione offerte dal nostro linguaggio. Come ebbe a definirlo egli stesso: “il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade dritte e regolari, e case uniformi.” (Wittgenstein, RF §18)
I diversi giochi linguistici formano una famiglia, ovvero essi sono imparentati in qualche modo, hanno delle somiglianze e delle differenze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda fino a formare una fitta rete che rappresenta lo sfondo all'interno del quale abbiamo modo di riconoscere e usare un linguaggio.
In questo contesto è evidente che le regole di un calcolo diventano semplicemente un caso particolare all'interno dei molteplici casi che si possono presentare, infatti vi sono giochi che somigliano a calcoli eseguiti meccanicamente, altri che lasciano spazio all'inventiva, giochi che si evolvono nel corso del tempo, alcuni vengono abbandonati e sempre di nuovi ne sorgono.
Caratteristiche delle regole
Le regole di cui parla Chomsky sono lontane dall'usuale nozione di regola per almeno due motivi:
non sono normative e non sono convenzionali.
Comprendere espressioni linguistiche implica in primo luogo considerare alcuni usi di quelle espressioni corretti e altri scorretti. Se conosco il significato di “passeggiare” affermare di una persona seduta “x passeggia” è scorretto. Si ha dunque coscienza di una regola e in questo senso le regole sono normative.
Inoltre le regole di un gioco sono convenzionali: solo un accordo fra parlanti fa sì che la parola “passeggia” non significhi ciò che significa la parola “sta fermo”.
Dunque: perché spiegare il significato in termini di regole? Perché i significati, come le regole di un gioco, hanno carattere normativo e convenzionale.
Critiche all'uso della nozione di regola per spiegare il significato.
Quine rileva che se le regole del linguaggio fossero esplicite, per applicarle occorrerebbe già comprendere la lingua in cui sono formulate. Dunque le regole concernenti espressioni la cui comprensione è primaria, non possono essere esplicite. Per Ziff se vi fossero regole di linguaggio sarebbero stabilite nel corso dell'insegnamento. Ma la nostra lingua madre non ci viene insegnata, la impariamo.
A tali critiche si può rispondere che le regole del linguaggio sono perlopiù regole implicite, apprese vivendo insieme agli altri e solo di rado esplicitamente impartite.
Quine obietta che, ammettendo convenzioni implicite, si priva la nozione di convenzione di ogni forza esplicativa. La risposta a questa obiezione è che a volte è possibile imparare un gioco (ad esempio gli scacchi) solamente osservando e apprendendo le regole che rimangono implicite. W. sostiene che “seguire una regola [...] giocare una partita a scacchi sono abitudini (usi, istituzioni)” (Wittgenstein, RF, §199) e dunque sono “una prassi” (Wittgenstein, RF, §202).
Secondo Donald Davidson, è vero che alcuni parlanti conformano l'uso a norme condivise, ma queste non sono essenziali al linguaggio. Il gioco degli scacchi è impossibile senza regole, in questo caso le regole sono essenziali. Nel linguaggio non è così. La ragione principale è che nemmeno una lingua comune è necessaria per intendersi mediante linguaggio. Ciò che rende possibile il linguaggio è la comprensione reciproca ottenuta fra parlanti e ascoltatori attraverso l'esercizio dell'immaginazione, della generale conoscenza del mondo e la coscienza degli interessi e degli atteggiamenti umani.
Sicuramente i fattori menzionati da Davidson sono importanti per comprendere gli altri e forse anche per studiare le prossime mosse dell'avversario in una partita a scacchi. Bisogna però capire fino a che punto tali capacità possono essere esercitate senza uno sfondo di regole linguistiche comuni.
Altra obiezione di Davidson è che la norma non ha relazione chiara con la pratica. Se vi fossero convenzioni linguistiche, esse stabilirebbero una connessione fra il significato di un proferimento e determinati atti o scopi perseguiti per suo mezzo. Ma non è tratto accidentale del linguaggio che lo stesso enunciato possa essere proferito con scopi diversissimi.
Una risposta a questa obiezione è che anche nel gioco degli scacchi raramente si deduce dalle regole la prossima mossa: le regole non impongono singole mosse, ne consentono diverse.
Tuttavia nel linguaggio è frequente una discrepanza fra regole e agire effettivo dei parlanti che negli scacchi è impossibile. Negli scacchi o si muove un pezzo secondo le regole o non si sta giocando quel gioco. Se esistono delle regole costitutive del significato di un'espressione, si tratta di regole di cui sono possibili violazioni da annoverare comunque fra gli atti linguistici.
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