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venerdì, aprile 16, 2010

Filosofia antica: Platone e la struttura delle idee

Parte 1
I concetti di Platone di "idea" e di rapporto trascendente con le cose sensibili



Parte 2


Parte 3
In questa terza parte si incrociano il mito delle anime e la concezione platonica dell'idea del bene, rimandando la lezione allo studio sulla dialettica ascendente e dunque sulla verace via della conoscenza, ossia l'intellezione.


Parte 4
Con la quarta parte della sezione dedicata a Platone, viene ulteriormente chiarito il problema della collocazione ontologica del Bene ed il suo rapporto con le idee, che a loro volta hanno un determinato significato nel ragionamento sull'essere, ossia esse "sono" la parte forte dell'essere.

venerdì, novembre 17, 2006

Gorgia

Gorgia nacque a Lentini nel 485 a.c. circa, ebbe molto successo come maestro di retorica. La sua opera principale "Del non essere o della natura" dimostra subito che il suo interesse non era semplicemente l'uomo ma anche la realtà che lo circonda anzi, proprio il rapporto dell'uomo con la realtà circostante. Quest'opera si colloca nel panorama della filosofia presocratica e in diretta opposizione alla filosofia eleatica: di quest'ultima infatti riprende il metodo della dimostrazione per assurdo, molto utilizzata da Zenone, e la rivolta contro gli eleati. Le tesi di fondo dell'opera di Gorgia sono: 1) nulla esiste; 2) se anche qualcosa esiste non è conoscibile; 3) se anche è conoscibile non è comunicabile.
L'obiettivo polemico è la presunta identità tra realtà, pensiero e linguaggio che era alla base dell'eleatismo: la corrispondenza tra pensiero e linguaggio non è affatto garantita come testimonia il fatto che posso pensare anche quello che non esiste (un asino che vola). Tra ragione umana (intesa come pensiero, linguaggio, logos) e realtà esiste una frattura profonda di cui necessariamente dobbiamo tenere conto. Non essendoci quindi una verità assoluta, quello che conta è la persuasione, che non è nelle cose, nella realtà, ma è nelle parole che con Gorgia diventano uno strumento potentissimo: lo vediamo nell'Encomio di Elena, dove la parola diventa un pharmakon dagli effetti ambigui (pharmakon=medicina, veleno o anche filtro magico). Al filosofo alla ricerca dell'essenza della realtà si sostituisce il maestro di retorica che usa le parole per convincere.
Questa frattura tra logos e realtà non porta necessariamente alla negazione della realtà ma semplicemente alla consapevolezza di questa condizione umana: la frattura tra la realtà e il linguaggio che, rispetto a essa è sempre indifferente, spiazzato o in ritardo

giovedì, novembre 16, 2006

Protagora

Nato all'inizio del V secolo ad Abdera (città natale di Democrito) intraprese presto la carriera di maestro e sofista. A metà del secolo era molto famoso ad Atene e diverse testimonianze lo vedono vicino al circolo di Pericle, a quel tempo all'apice del successo.
Tra le sue opere più significative troviamo una raccolta di "Antilogie", una serie di discorsi contrapposti (di cui uno difende e l'altro confuta la medesima tesi), opera indicativa di una delle caratteristiche principali di Protagora: l'arte sofistica del saper convincere gli altri, di saper "rendere più forte il discorso più debole" perché "intorno a ogni oggetto ci sono due ragionamenti contrapposti".
La tesi più nota di Protagora è: "L'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono". "L'uomo" di cui parla va inteso come umanità o come singolo individuo?
Ad una prima istanza l'uomo è forse da intendersi come il singolo individuo quindi: ognuno è giudice ultimo e inappellabile delle proprie conoscenze e sensazioni e non è possibile, nel caso si crei un disaccordo, risolvere il conflitto. La verità non è quindi oggettiva ma è soggettiva, dipende dal singolo individuo.

Ciò che appare a una persona è per questa vero ma ci sono apparenze più utili e vantaggiose di altre: il sofista è quindi in grado di stabilire per sé e per gli altri un rapporto più vantaggioso con le cose. Al criterio della verità abbiamo sostituito l'utile. La filosofia di Protagora non è però un invito alla chiusura in se stessi (dato che si è giudici ultimi delle proprie sensazioni e della verità): è un invito al confronto con la comunità; se infatti non esiste una verità oggettiva, ogni uomo è costretto a confrontare le proprie opinioni con gli altri uomini alla ricerca di soluzioni che, almeno sotto il profilo dell'utile, si rivelino vantaggiose, che garantiscano la sopravvivenza della comunità. La sostituzione del vero con l'utile apre la strada all'esercizio della retorica. Ogni società stabilisce delle leggi e dei valori che possano tutelarla e farla prosperare. Compito del sofista è prendere atto di questi valori e promuoverli nella maniera migliore.

lunedì, marzo 06, 2006

Democrito (460-370 circa a.c.)

Tra la seconda metà del V secolo e i primi decenni del IV si affermò nella cultura greca quella che alcuni studiosi hanno definito la scuola più moderna della scienza greca, e altri il primo vero grande sistema filosofico-scientifico dell'antichità: la scuola atomistica.
Suo iniziato fu Leucippo, nato a Mileto e vissuto per un certo periodo a Elea, dove avrebbe fatto parte anche della scuola eleatica: è questa una tradizione, anche se discutibile, comunque assai significativa, perché dimostra come fin dall'antichità si erano individuate le fonti più importanti della scuola atomistica: il pensiero degli Ionici e quello di Parmenide.
Leucippo, recatosi ad Abdera, ebbe come allievo Democrito, che fu il suo allievo più importante e dette una connotazione specifica alle dottrine della scuola.
Il rigore logico del modello di spiegazioni matematiche e fisiche di Parmenide e Zenone costituiva ormai un modello irrinunciabile: Leucippo e Democrito chiaramente vi si rifanno e lo rielaborano.
Tutti i corpi di cui abbiamo esperienza sono divisibili, ma per spiegare questa loro divisibilità e le qualità diverse che assumono e le trasformazioni cui vanno soggetti bisogna ammettere che tutti sono costituiti da elementi primi indivisibili (atomos, indivisibile). Questi atomi sono in eterno movimento e si muovono nel vuoto.
Come tutti gli altri enti, l'uomo è formato di atomi, e questi atomi sono in rapporto con quelli di tutti gli altri enti; questo rapporto è ciò che chiamiamo sensazione. Comunemente diciamo anche che la nostra anima è impressionata dagli oggetti esterni: e per anima si intende la nostra facoltà di sentire e di venire modificati dal contatto col mondo a noi esterno (quindi anche l'anima è corporea e formata da atomi). Senonché accanto a questa facoltà di sentire, l'uomo ha anche la facoltà di accorgersi di sentire, di avere cioè la coscienza delle sue modificazioni: di pensare. Questa facoltà è l'intelletto che è strettamente legata alla facoltà di sentire.
Degli atomi, però, non si può avere sensazione perché sono corpi piccolissimi che sfuggono ai nostri sensi: essi sono un ipotesi razionale. Possiamo avere sensazione soltanto dei composti degli atomi, ovvero delle qualità dei corpi. Queste sensazioni sono tuttavia mutevoli; così pure il pensiero che su di esse si fonda. Ecco perché Democrito chiama questa forma di conoscenza “oscura”.
Vi è invece una forma di conoscenza più sicura, “genuina”, la quale si fonda sulle strutture stesse della realtà: queste strutture non possono cogliersi che con l'intelletto, con una forma di pensiero che non è più legata immediatamente ai nostri sensi. Tra sensi e ragione vi è dunque un rapporto di continuità, ma vi è anche un salto qualitativo: la conoscenza razionale deve muovere da quella sensibile per poi ritornarne per darne le ragioni e le giustificazioni.
La costruzione di un sistema di conoscenze sicure è per Democrito il compito più alto che l'uomo possa proporsi. Bisogna sforzarsi di trovare le ragioni e le giustificazioni: è lo sguardo acuto dell'uomo intelligente quello che non solo vede le cose più in profondità, di avvicinarsi alla verità, bensì anche quello che sa dirigere le cose: conoscenza ed etica sono infatti strettamente connesse.
Se l'equilibrio tra sensi e ragione era necessario per imboccare la via della verità nella conoscenza, l'equilibrio e la misura sono altrettanto necessari per raggiungere la felicità: il saggio uso e controllo dei piaceri, la scelta dei piaceri stessi (si deve cercare non già qualsiasi piacere, ma soltanto il piacere per le cose belle) costituiscono la vera virtù dell'uomo che sa bene agire perché sa bene pensare.

Anassagora

Con Anassagora la filosofia fa la sua comparsa anche in Atene. La città, dopo la vittoria sulla Persia, si lanciò in una politica di predominio marittimo, commerciale e industriale che ne fece ben presto il centro economico e politico più importante dell'Ellade.
Questa ascesa politica ed economica coincise con un periodo di grande splendore interno, grazie anche alla vittoria del partito democratico, guidato allora da uno dei suoi uomini più prestigiosi, Pericle, detentore del potere per circa trent'anni. Egli seppe coagulare intorno a sé le intelligenze più brillanti del tempo. In questo “circolo di Pericle” Anassagora (500-428 circa), giunto ad Atene nel 462, fu certamente una delle figure di spicco.
Con Anassagora, il bisogno di spiegare i fatti – quegli stessi fatti oggetto delle fantasiose interpretazioni degli indovini – con ragioni tutte naturali da tutti osservabili, segna il distacco tra la nuova mentalità razionale e profana e la vecchia mentalità sacra e mitologica. E' un modello che unisce strettamente il fare al pensare, che è proprio dell'uomo che pensa in quanto opera, che comprende la realtà che lo circonda perché agisce su di essa.
La spiegazione razionale della realtà avviene partendo dall'ipotesi di semi che costituiscono le particelle minime della materia, dotate di una propria caratterizzazione qualitativa. Questi semi, che sono infiniti, ingenerati e incorruttibili, si ritrovano nella composizione di tutte le cose. Anassagora ipotizza un processo cosmico che, partendo da un primitivo, unico miscuglio, conduce gradualmente al formarsi dei mondi e alla caratterizzazione interna di ciascuno di essi. Egli ha la grande intuizione dello stretto rapporto che, in questo processo cosmico di separazione e trasformazione, unisce forza e velocità e vede chiaramente che le velocità di questi processi – contrariamente alla immediata percezione sensibile – sono enormemente superiori alle velocità di cui gli uomini hanno esperienza: la legge che regola questo processo Anassagora lo chiama nous (intelletto, mente).
Il nous è identificabile con una legge meccanica del divenire o con l'ordine razionalmente comprensibile insito nelle cose. Per questa caratteristica della sua filosofia venne denominato il “fisicissimo”.
La valorizzazione della conoscenza razionale non induce Anassagora a svalutare l'esperienza sensibile; questa ci può ingannare solo se l'accettiamo semplicisticamente così come immediatamente ci si presenta, ma se la combiniamo con giustamente con il ragionamento, essa sarà una guida insostituibile al raggiungimento di quei principi della realtà che, pur non essendo sperimentabili sensibilmente, costituiscono nello stesso tempo proprio i principi fondamentali della nostra esperienza.

Empedocle di Agrigento

Nel V secolo la cultura filosofica si va progressivamente estendendo dalla periferia del mondo greco a quello che sarà il centro della vita culturale greca, e cioè Atene.
Il punto di partenza della filosofia di Empedocle è parmenideo perché nega i concetti umani di nascita e morte (perché costituiscono passaggio dall'essere al non essere e viceversa). Il divieto parmenideo di confondere e mischiare essere e non essere è corretto, ma prenderlo alla lettera significa fare a meno di tutti i fenomeni, la fine del nostro molteplice mondo.
Ciascuna delle molteplici cose è composta dalla mescolanza e separazione di 4 elementi che sempre erano e sempre saranno ed hanno le stesse caratteristiche di TO EON: acqua, aria, fuoco, terra.
I quattro elementi costituiscono dunque la materia, eterna, ma in continua trasformazione. Accanto a essa Empedocle introduce un nuovo concetto, quello di forza interna alla materia, e che è la causa del suo trasformarsi. A questa forza, che è bipolare, gli dà il nome di Philia e Neikos, cioè Amicizia e Contesa (o Amore e Odio).
Sul piano cosmico, l'amicizia si presenta come una forza aggregante, che armonizza gli elementi in un'unità (lo sfero); la contesa come una forza disgregante che tende alla separazione e al distacco degli elementi. Tra gli stadi estremi, in cui ora prevale l'Amicizia ora la Contesa, vi sono due periodi nei quali le forze si bilanciano e si armonizzano variamente tra di loro, dando luogo a tutta la serie di fenomeni particolari.
L'identità condivisa dei 4 elementi è garanzia di conoscenza della molteplicità (il simile conosce il simile).

Parmenide e la scuola eleatica

Di Parmenide sono stati trasmessi circa 160 versi di un poema intitolato “Sulla Natura”, in cui immagina di compiere un viaggio che lo porta al cospetto di una dea, la quale gli rivela un programma completo del sapere, in tutti i campi.

Per Parmenide la realtà va intesa come un tutto omogeneo, uno, eterno e continuo, all'interno della quale hanno senso i molteplici fenomeni (intuizione degli ionici).

TO EON (ciò che è): non può nascere né perire, non ha passato né futuro, perché è, esiste nel senso più pieno della parola e al di fuori di esso non c'è né è possibile null'altro; ciò che è la realtà intesa nella sua totalità.

Parmenide deduce e dimostra tutta la serie di sêmata (segni), cioè delle caratteristiche di ciò che è: esso è ingenerato, indistruttibile, esente da mutamento e fuori del tempo, omogeneo, uno, continuo e indivisibile. Questo tutto è simile a una sfera. All'interno di questo tutto di sono tutti i fenomeni particolari (TA EONTA), con sêmata completamente diversi, la serie di tutto ciò che nasce e muore. Secondo Parmenide l'uomo deve usare un metodo diverso nel costruire il discorso a seconda che parli di TO EON o TA EONTA. I sêmata infatti non possono essere confusi: nascita e morte sono incomprensibili se si parla di ciò che è; il tempo, che non può essere applicato a ciò che è, è invece la sola misura possibile per le cose che sono. In questa visione è chiara l'importanza di TO EON: ciò che conta è ciò che è e non i fuggevoli fenomeni particolari. Parmenide ha parole molto dure nei confronti di coloro che non sanno operare distinzione fra i due metodi menzionati chiamandoli “uomini sordi e ciechi, storditi, gente che non sa giudicare”. Critica anche coloro che non sanno trarre un senso dalle proprie esperienze perdendosi nella molteplicità senza riuscire a vedere il legame necessario che le unisce. In questo consiste il valore scientifico, filosofico e metodologico della posizione di Parmenide, nella convinzione cioè che la legge con la quale il pensiero opera nel costruire la sua organizzazione delle esperienze è la stessa legge che opera nella realtà. Non solo quindi non c'è frattura tra ragione e sensibilità, ma il pensiero costituisce la coscienza del corpo, e cioè non solo la possibilità di conoscere se stessi, ma anche la possibilità – data la fondamentale omogeneità dell'uomo con la natura – di conoscere il mondo tutto.

Melisso di Samo

Per Melisso la natura è un uno-tutto, omogeneo e continuo; se però secondo Parmenide il tutto è al di fuori del tempo, secondo Melisso al contrario il tutto si identifica con il tempo eterno, senza fine. Ne deriva dunque che il tutto è infinito.

TO EON = ciò che era e sarà -> durata infinita nel tempo

Zenone di Elea

Venne definito dagli antichi l'inventore della dialettica, cioè dell'arte del discutere e della confutazione per assurdo. I suoi discorsi erano basati sulla filosofia parmenidea.

Partendo da una tesi A sostenuta da un filosofo deduce due conclusioni, una necessariamente vera e una necessariamente falsa dimostrando la contraddittorietà della tesi sostenuta.

Zenone concepisce il tempo e lo spazio come entità discrete e divisibili infinitamente (solo in tale ottica sono comprensibili i suoi paradossi). I suoi avversari sono tutti coloro che volevano difendere la dicibilità, la conoscibilità e realtà della molteplicità e del movimento.

Eraclito di Efeso (530/520-470/460)

Eraclito scrisse un libro in prosa intitolato “Sulla Natura” del quale sono rimasti più di cento frammenti.

Sulla sua filosofia si sono date molte interpretazioni e sono nate vere e proprie leggende, come quella della sua contrapposizione a Parmenide: mentre questi avrebbe sostenuto la tesi dell'immobilità della realtà (ma le cose non stanno così), Eraclito avrebbe sostenuto invece la tesi dell'eterno divenire della realtà, panta rei, tutto scorre, come le acque di un fiume che non sono mai le stesse.

La dottrina del panta rei non compare affatto nei frammenti autentici di Eraclito, bensì risale agli eraclitei del tempo di Platone e poi, i frammenti cosiddetti “del fiume” vanno interpretati non alla luce di questa dottrina, ma come espressioni dell'altra – autenticamente eraclitea – della tensione dei contrari.

Eraclito è fortemente critico nei confronti della multiscienza (polymathia), cioè di coloro che sanno tante cose ma non comprendono il senso della realtà, “vivono dormendo”, non colgono il LOGOS eterno che è al fondo delle cose.

Il LOGOS di cui parla non è la lineare legge scientifica della realtà, è piuttosto la contraddittorietà profonda al di sotto dell'apparente linearità. Il LOGOS è quindi in sé la legge della realtà, ma consiste nella continua presenza di elementi contrastanti. I frammenti del fiume esprimono proprio questa dottrina.

domenica, febbraio 26, 2006

Pitagora e la scuola pitagorica

Una delle poche scuole presocratiche fu quella fondata da Pitagora di Samo (570-497/496), che per primo, secondo una certa tradizione, usò il termine di “filosofia” per indicare il complesso delle sue dottrine e delle sue ricerche.

Lasciò Samo poco dopo il 540 e giunse nella Magna Grecia, sostando maggiormente a Crotone e a Metaponto. La sua scuola aveva carattere di comunità religiosa, scientifica e politica insieme. Per esserne ammessi bisognava superare prove difficili, in essa vigeva la comunione di beni e bisognava rispettare regole precise di comportamento all'interno della scuola e nella società.

I discepoli si distinguevano tra “acusmatici” (da akuo, ascoltare) che erano coloro ammessi semplicemente all'ascolto delle lezioni e “matematici” (da manthano, apprendo) che erano coloro che approfondivano la dottrina ed erano tenuti al segreto più rigoroso su di essa.

La più antica scuola pitagorica elaborò una teoria dei numeri come principi di spiegazione della realtà. I numeri avevano sia consistenza ideale che materiale ovvero, le leggi che regolano i rapporti tra numeri servono anche a spiegare i rapporti tra le cose reali. La matematica è con ciò la forma di conoscenza più alta.

Dalla monade si generano le due serie fondamentali, quella dei numeri pari e quella dei numeri dispari, che sono in contrasto e in opposizione. Anche nella realtà è riscontrabile questa legge della contrarietà e dell'opposizione (limite-illimitato, dispari-pari, maschio-femmina, luce-tenebre, buono-cattivo, ecc.).

Una dottrina che, probabilmente, non fu della prima scuola pitagorica è quella della metensomatosi. I primi pitagorici sostennero (come testimonia Aristotele) una dottrina corpuscolare dell'anima, intesa come l'elemento materiale principio di movimento oppure (come testimonia Platone) una dottrina dell'anima-armonia: l'anima è l'armonia che risulta dalla composizione di tutti gli elementi che entrano a far parte del corpo di ognuno.

Alcmeone di Crotone

Sostenne che la legge della contrarietà è valida soprattutto per l'uomo che è costituito da elementi opposti che, fino a quando restano in equilibrio, determinano la salute (ISONOMIA); se uno degli opposti prevale (MONARCHIA) si ha la malattia.

Afferma che la caratteristica della conoscenza umana è quella di basarsi sulla costruzione di sempre nuove ipotesi, a differenza della conoscenza divina che già possiede tutte le nozioni, ma è fissa e immobile.

Filolao di Crotone

Cercò di leggere matematicamente l'universo intero cogliendo la profonda armonia che lega le cose, solo apparentemente dissimili. Elaborò una teoria del sistema cosmologico basata sulla centralità di un fuoco intorno al quale ruotano i pianeti.

Archita di Taranto

Approfondì le ricerche nel campo musicale. Partendo dalla scoperta del rapporto tra la lunghezza di una corda e il suono che emette, stabilì i rapporti matematici che regolano gli accordi di ottava, di quinta e di quarta della scala musicale.

sabato, febbraio 25, 2006

Gli ionici

Fu a Mileto, una colonia greca della Ionia, nel VII secolo a.C. che, probabilmente, nacque una delle prime forme di filosofia.
L'ambiente della città era particolarmente aperto grazie ai dibattiti, le critiche e le discussioni connaturate al nuovo regime politico delle assemblee. Inoltre, l'incontro fra culture diverse stimolava nuovi modi di concepire il mondo.
Furono questi alcuni degli ingredienti che dettero agli uomini di Mileto una nuova consapevolezza, la coscienza che il sapere e la conoscenza aumentano le possibilità dell'uomo.
La scuola ionica di cui potrebbero aver fatto parte Talete, Anassimandro e Anassimene (in realtà è stata messa in dubbio anche l'esistenza della scuola) era concepita in modo sostanzialmente diverso dal nostro modo di intendere una scuola. Era una vera e propria associazione fra compagni che condividevano pensieri, ideali politici, religiosi e morali. Spesso la condivisione era allargata anche ai beni.
Fu Aristotele che per primo distinse tra fisiologi o filosofi (intesi quindi come studiosi della natura) e mitologi. I primi avevano un approccio completamente diverso dai secondi: mentre i mitologi spiegavano il mondo in modo narrativo e mitico, i fisiologi o filosofi adottavano un metodo di spiegazione razionale e scientifico. La corrispondenza delle parole "fisiologo" e "filosofo" è dovuta proprio alla iniziale sovrapposizione dei due significati. Non a caso quasi tutti i primi filosofi scrissero opere sulla natura.
Di seguito una breve sintesi dei principali esponenti di queste nuove tendenze.

Talete di Mileto (vissuto probabilmente tra il 641 a.c. e il 546 a.c.)
Elaborò una teoria delle eclissi.Studioso di geometria:
  • dimostrò che il cerchio è diviso in due parti uguali dal diametro;
  • dimostrò che gli angoli alla base del triangolo isoscele sono uguali;
  • teorema delle rette parallele

Per primo pose il problema dell'archê (anche se non nei termini aristotelici): l'acqua è a fondamento di tutte le cose perché il nutrimento delle cose e i semi di tutte le cose sono umidi. Aveva una mentalità in grado di combinare osservazione, esperienza e ragionamento.

Anassimandro
Scrisse un'opera intitolata “Intorno alla natura” in cui cercava di descrivere i fenomeni naturali e spiegarli con un approccio scientifico. Riuscì a concepire l'universo come qualcosa di misurabile e soggetto a leggi universali comprensibili: l'universo è un tutto unico ed eterno, immobile in sé stesso; lo chiamò APEIRON (infinito o indefinito). L'APEIRON non è pensabile in termini di fenomeni particolari. All'interno dell'APEIRON, grazie ad un eterno movimento, si producono i fenomeni particolari denominati PERATA (da peras , limite). Dalle considerazioni di Anassimandro si può trarre la conclusione che l'infinito è condizione del finito.

Anassimene
Anche lui studioso di fenomeni meteorologici e di geografia terrestre. L'universo è formato dagli stessi elementi della terra. Anche per lui esiste una materia eterna, infinita, dotata di movimento proprio dalla quale traggono origine tutte le cose. Questa materia è dotata di qualità specifiche: lo PNEUMA (soffio), una specie di respiro dell'universo che, come per il corpo umano, lo tiene unito.

La scuola milesia, spiegando la qualità delle diverse specie di materia mediante la qualità di materia primordiale e sostenendo che il movimento esiste fin dall'eternità, raggiunse il suo risultato più elevato.