La scienza presuppone la fede percettiva e non la illumina
Il vero non è né la cosa che io vedo, né l'altro uomo che parimenti vedo con i miei occhi, né infine quell'unità globale del mondo sensibile e, al limite, del mondo intelligibile. Il vero è l'oggettivo, ciò che sono riuscito a determinare mediante la misura o più in generale mediante le operazioni autorizzate dalle variabili o dalle entità che ho definito a proposito di un ordine dei fatti.
La scienza ha cominciato con l'escludere tutti i predicati delle cose scaturiti dal nostro incontro con esse. Quella della scienza non è una veduta d'universo, ma è semplicemente la pratica metodica che permette di collegare l'una all'altra vedute che sono tutte prospettiche. Se diamo a questa formula il valore di un sapere assoluto è perché l'operazione pura della scienza riprende qui a proprio profitto la nostra credenza di accedere alle cose stesse o di avere sul mondo un potere di sorvolo assoluto.
O si intende per scienza una certa pratica di conoscenza di cui i possessori dello strumento sono gli unici giudici, e allora essi sono gli unici giudici anche del senso in cui assumono le loro variabili, ma non hanno né l'obbligo, né il diritto di risolvere in loro nome la questione di ciò che c'è.
O viceversa, la scienza intende dire ciò che è, ma allora non è più autorizzata a definire l'essere mediante l'essere-oggetto, né a relegare il vissuto nell'ordine delle nostre rappresentazioni e nel settore delle curiosità psicologiche.
Il nostro fine non consiste nell'opporre ai fatti coordinati della scienza oggettiva un gruppo di fatti che le sfuggono, ma di mostrare che l'essere-oggetto, e in egual modo l'essere-soggetto, concepito in opposizione ad esso e relativamente ad esso, non costituiscono un'alternativa, che il mondo percepito è al di qua o al di la dell'antinomia, che il fallimento della psicologia oggettiva è da comprendere come un invito alla revisione della nostra ontologia, al riesame delle nozioni di "soggetto" e "oggetto". Le stesse ragioni che impediscono di trattare la percezione come un oggetto, impediscono di trattare la percezione come un oggetto, impediscono altresì di trattarla come l'operazione di un soggetto, in qualsiasi senso la si assuma.
Non appena si cessa di pensare la percezione come l'azione del puro oggetto fisico sul corpo umano e il percepito come il risultato interiore di questa azione, sembra che si disgreghi ogni distinzione del vero e del falso, del sapere metodico e dei fantasmi, della scienza e dell'immaginazione.
Poiché la percezione ci da fede in un mondo, in un sistema di fatti naturali rigorosamente collegato e continuo, abbiamo creduto che questo sistema avrebbe potuto incorporare ogni cosa, perfino la percezione che ci ha iniziati ad esso.
mercoledì, gennaio 23, 2008
Maurice Merleau-Ponty - Il visibile e l'invisibile, appunti e riassunti 2
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