Nella società borghese l'operaio è ridotto a mera merce. Se la ricchezza della società è in declino, il primo a risentirne è proprio l'operaio; se è in progresso, aumentano i capitali, ma questo significa che si accumula molto lavoro (il capitale è lavoro accumulato) quindi all'operaio vengono tolte sempre più parti del suo lavoro che diviene sempre più parcellizzato e ottuso e i prodotti realizzati gli si contrappongono come una proprietà altrui. Così il capitale finisce per contrapporsi all'operaio come una forza estranea. Inoltre la concorrenza tra capitalisti provoca una concentrazione sempre maggiore di denaro nelle mani di questi ultimi: i grandi capitalisti mandano in rovina i piccoli che finiscono nella classe degli operai e, a sua volta, a causa di questo afflusso, finisce per subire una decurtazione ulteriore del proprio salario.
L'economia politica non comprende che il rapporto lavoro salariato-capitale costituisce una contraddizione dialettica. Infatti il lavoro salariato è lavoro vivente che genera il capitale, il lavoro morto; il capitale è lavoro accumulato, ma è al tempo stesso potere di comando sul lavoro e sui suoi prodotti, ovvero è negazione del lavoro. Capitale e lavoro salariato sono quindi in contraddizione.
L'economia politica inoltre occulta nel lavoro l'alienazione, l'estraniazione. Tale estraniazione è descritta secondo quattro aspetti.
- Il lavoratore è estraniato dal prodotto della sua attività che non gli appartiene ma appartiene a un altro. Il prodotto si consolida così come una potenza indipendente e quanto più l'operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo e tanto più povero diventa egli stesso;
- Il lavoro in quanto attività di trasformazione cosciente della natura per il soddisfacimento di un bisogno gli diventa estraneo perché viene tramutato in merce. Il lavoro perde così la sua pecularità, di essere una felice conferma di sé, sviluppo di una libera energia fisica e spirituale e diviene lavoro forzato, mortificazione di sé;
- L'estraniazione dall'attività produttiva comporta l'estraniazione del lavoratore dal genere umano. La libera attività consapevole è il carattere specifico dell'uomo, è la capacità dell'uomo di moltiplicare e raffinare sempre di più i suoi bisogni e di produrre per questi mezzi sempre più specializzati. In una attività produttiva estraniata l'uomo perde il contatto con questa sua specificità e di conseguenza dimentica di appartenere alla specie umana. Per questo Marx scrive: "Ne viene quindi come conseguenza che l'uomo (l'operaio) si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali [...] e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane. Ciò che è animale diventa umano, e ciò che è umano diventa animale".
- L'uomo estraniato dalla specie umana si aliena anche dall'altro uomo. Questa alienazione si concretizza nella contraddizione operaio salariato-capitalista.
Marx era invece convinto che le condizioni dei lavoratori dell'industria avrebbero subito continui peggioramenti e, così facendo, sbagliò le sue previsioni.
A ben vedere il concetto di alienazione proposto da Marx è una ulteriore elaborazione del concetto di alienazione di Feuerbach (che a sua volta aveva rielaborato il concetto hegeliano). Secondo Feuerbach nella religione cristiana l'uomo separa da sé le proprie capacità più elevate e le attribuisce a un Dio onnipotente. Concepito Dio in questo modo all'uomo non rimane che concepirsi come creatura di Dio. Ciò che è primo, quindi, diventa secondo e viceversa: l'uomo che è l'unico ente reale separa da sé i propri predicati e li attribuisce a un Dio che diventa l'unico soggetto. Per arricchire Dio l'uomo si impoverisce sempre di più.
Marx nei manoscritti usa più o meno gli stessi termini per descrivere l'alienazione del lavoro: l'operaio trasforma la natura, mette nei prodotti da lui realizzati le proprie capacità, ma questi prodotti non gli appartengono e finiscono per dominare l'operaio stesso in quando facenti parte del capitale.
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